Ventiquattro lavoratori palermitani sarebbero stati vittime di gravi abusi sul lavoro all’interno di un’attività commerciale gestita da sei cittadini cinesi, ora indagati per caporalato. Secondo quanto emerso dalle indagini, i dipendenti avevano sottoscritto contratti part-time da quattro ore al giorno, ma in realtà lavoravano ben oltre le dieci ore quotidiane, senza godere di riposi settimanali né ferie.
In molti casi, una parte dello stipendio dichiarato in busta paga doveva essere restituita in contanti ai titolari. Le condizioni di lavoro sarebbero state imposte sotto la minaccia costante del licenziamento. Alcuni dipendenti hanno dichiarato di essere stati costretti a lavorare anche in caso di malattia, pena una penalità di 20 euro per ogni giorno di assenza.
A carico dei sei indagati, il giudice per le indagini preliminari – su richiesta della Procura di Palermo – ha disposto la misura interdittiva del divieto di esercitare attività d’impresa o ricoprire ruoli direttivi in società o enti per un periodo di 12 mesi.
L’inchiesta è nata quasi per caso: una donna si era rivolta ai carabinieri di Monreale per denunciare le minacce ricevute dall’ex compagno mentre si recava al lavoro. I militari, insospettiti, hanno chiesto informazioni al responsabile del punto vendita, che ha affermato di non conoscere la donna. A quel punto è scattato un controllo del Nucleo ispettorato del lavoro.
Le testimonianze raccolte dai lavoratori hanno rivelato un quadro allarmante: alcuni risultavano assunti per 12 ore settimanali con stipendi da 600 euro, ma lavoravano fino a 60 ore.
Altri percepivano formalmente 700 euro, ma ne restituivano 300 in nero. Tutti avevano firmato contratti part-time, pur svolgendo mansioni a tempo pieno.
Le indagini proseguono per accertare l’ampiezza del fenomeno e le eventuali responsabilità ulteriori.