Palermo, l’importanza del Sistema di accoglienza e integrazione: esserci nel dolore per trasformare la rabbia in speranza

È una realtà di cui forse si parla troppo poco, ma il SAI di Palermo (Sistema di accoglienza e integrazione) è l’esempio, ogni giorno dell’importanza dell’esserci gli uni per gli altri. 
Nella disperazione, nel dolore, nelle avversità della vita, avere qualcuno accanto e che provi ad alleviare le sofferenze altrui è un gesto che riempie l’anima e ci lascia sperare in un mondo migliore. 
Oggi condividiamo un comunicato importante che gli operatori del SAI di Palermo hanno voluto condividere nelle loro pagine social. Un ricordo, ma che cela un grande messaggio di speranza:  “𝗘𝘀𝘀𝗲𝗿𝗰𝗶 𝗻𝗲𝗹 𝗱𝗼𝗹𝗼𝗿𝗲. 𝗦𝗮𝗽𝗲𝗿 𝘁𝗿𝗮𝘀𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗿𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮”.
 
𝗗𝗲𝗱𝗶𝗰𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹 𝘀𝗶𝗴𝗻𝗼𝗿 𝗕. 𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗴𝗶𝗼𝘃𝗮𝗻𝗲 𝗔.
Negli ultimi tre giorni, il Sai Palermo ha vissuto due momenti di profondo dolore.
L’altro ieri è morto il signor B., 40 anni, una moglie e tre figli nel suo paese di origine, il Bangladesh.
Ieri ci ha lasciati A., 16 anni, arrivata al “Centro grandi ustioni” di Palermo e affidata a noi senza un nome, senza una storia tracciabile.
Era sola, segnata da ferite profonde su tutto il corpo e nell’anima.
In questi tre mesi in cui A. è stata affidata alle nostre cure abbiamo lavorato con tenacia per restituirle identità, radici, dignità.
Abbiamo scoperto che era stata rapita dal suo Paese d’origine insieme alla cugina e che quest’ultima non ce l’ha fatta ed è morta nel deserto.
Dopo un anno e mezzo trascorso in Libia, dove ha subito violenze e privazioni indicibili, A. aveva raggiunto Lampedusa.
Durante quel viaggio, sul barcone in cui era stata caricata a forza e altre quattro ragazze hanno invece trovato la morte, si verifica un’esplosione e A. si ustiona gravemente.
Un paio di orecchini e un numero di telefono, tenuti come un filo di memoria, ci hanno permesso di risalire a uno zio a Londra. Da lui, finalmente, siamo arrivati alla madre.
Dopo due anni in cui la mamma non aveva più avuto notizie di A., abbiamo potuto dirle che sua figlia era viva e che l’aspettava, che i medici erano pronti ad operare ma avevano bisogno del suo sostegno perché la loro “piccola e dolce paziente” (così la definivano) non avrebbe potuto affrontare da sola l’intervento che avrebbe provato a salvarla.
Così, grazie ad un lavoro corale fatto anche insieme a tutte l’équipe del Cresm – Centro ricerche economiche e sociali per il Meridione, abbiamo ottenuto l’autorizzazione per fare arrivare a Palermo la mamma di A. che è arrivata venti giorni fa ed ha potuto riabbracciare sua figlia.
Ha potuto guardarla, parlarle, donarle amore. Farla sorridere, tra le pieghe delle sue bende e delle sue cicatrici.
L’abbraccio tra loro è stato pieno di vita, di dolore, ma anche di senso. È stato il riscatto di un amore che ha provato a resistere al tempo, alla distanza, alla violenza che le aveva separate.
Purtroppo, ieri abbiamo dovuto dirle che ”la sua bambina” non ce l’ha fatta.
Accogliere il dolore di questa madre è stato anche accogliere il nostro.
Oggi proviamo strazio, rabbia, ma sentiamo anche tutta la determinazione a non restare in silenzio.
Noi vogliamo farvi arrivare lo strazio del canto della madre di A., che la chiama e desidera ancora cullarla.
Non dobbiamo perdere la capacità di “sentire” un cuore che si spezza.
Non dobbiamo perdere la capacità di riconoscere la profonda ingiustizia di un mondo che spesso brucia le persone, ma non i confini, i muri.
Noi, ogni giorno, scegliamo di stare dall’altra parte. Di prenderci cura. Di accogliere, proteggere, ricucire ferite.
Grazie a tutte le colleghe e i colleghi che hanno condiviso la cura di A. e che ogni giorno condividono con noi la cura delle tante persone che accogliamo.
A te, giovane A., avvolta nel tuo sudario bianco, il nostro pensiero e il nostro amore. Hai resistito e amato nonostante tutto: che il cielo ti accolga e la terra ti sia lieve.
Il Sai Palermo
 

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